La storia del Caravanserraglio rosso, sebbene iniziata da diversi decenni, non sembra vedere la sua fine. Essendo però diventata una questione internazionale, potrebbe essere definita una bella patata bollente da maneggiare con cura. Ahimè in queste situazioni tutti cercano di portare acqua al proprio mulino rischiando di cadere nell’estremismo. A pagare le spese dei giochi politici e mancanza di chiarezza sono questa volta i beduini che vi abitano.
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I beduini della tribù di Jahalin sono stati cacciati dall’esercito israeliano nel 1952 da Tel Arad e mandati nell’attuale Cisgiordania che fino al 1967 era sotto controllo giordano. Si sono stabiliti sulle terre di un vecchio omonimo villaggio (di chi siano le terre non è ancora chiaro!) e dal 1967 sono passati sotto il controllo israeliano risiedendo in quel pezzo di territorio C definito tale dopo gli accordi di Oslo.
A proposito, dal 1981 le pratiche burocratiche dei territori occupati vengono gestite da un organo chiamato “Amministrazione Civile” (Minhal Ezrahi).
I beduini si trovano quindi lungo la strada 1 che collega Gerusalemme a Gerico tra due insediamenti ebraici della Cisgiordania, Maale Adumim e Kfar Adumim. Strada di collegamento importantissima lungo la quale sorge questo unico villaggio palestinese all’interno della strategica area E1 (East 1) i cui progetti di ampliamento sono “congelati” per via delle pressioni internazionali.
Il Caravanserraglio rosso (Khan El Ahmar) si trova dunque in territorio C ma l’educazione al suo interno, è gestita dall’Autorità Palestinese visto che l’Amministrazione Civile ha fatto orecchie da mercante nonostante la necessità di una scuola elementare per i 200 bambini della zona che la frequentano.
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Cosi, grazie ad aiuti internazionali e pressioni dell’Autorità Palestinese, che comunque sfrutta la situazione per trarne vantaggi di fronte alla opinione internazionale, sono state tirate su le aule le cui mura sono state realizzate con vecchi pneumatici e fango (guardate bene nelle foto). Qui studiano circa 200 bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni.
Sul villaggio, inclusa la scuola pende ormai dal 2009 un ordine di demolizione che non è stato per il momento portato a termine. I beduini si rifiutano di andare a vivere nelle terre che Israele prevede come loro prossima dimora, i governi israeliani dal canto loro cercano di posticipare l’attuazione della decisione per via delle pressioni internazionali e di ricorsi operati dagli stessi ebrei israeliani che cercano soluzioni convenienti per entrambe le parti e che riconoscono l’importanza dell’insegnamento scolastico, cosi che il tempo passa e nuove elezioni sono sempre bene accolte dai beduini qui residenti perché significano un rimandare la decisione a data da destinarsi.
Nel frattempo, oltre ad occuparsi di allevamento di capre e pecore, e a fornire manodopera negli insediamenti circostanti, i beduini accolgono i visitatori che possono gustare un ottimo pranzo (nella foto il Maqluba) cercando di farsi una idea della situazione ingarbugliata soppesando i pareri dell’una e dell’altra parte che creano attrito nella vita quotidiana di chi vive quelle aree, siano essi ebrei, beduini o palestinesi.
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